venerdì 17 giugno 2016

L’alveare (lu Bugnu)




Tra l’allevamento minuto possiamo annoverare quello delle api che fin dalla notte dei tempi è celebrato anche nella bibbia; l’uomo ha seguito con stupore ed interesse le api traendone dal suo allevamento il dolcificante più naturale e più nobile. Oggi non si parlerà del dolce nettare ma dell’alloggio che l’uomo delle nostre aree riservava al prodigioso insetto. 

Qui in Gallura, tra maggio e giugno si presenta il momento opportuno per la scorzatura della quercia da sughero. Il contadino sceglieva il tronco adatto: dritto , liscio e che presentasse una corteccia sugherifera uniforme e compatta. Procedeva alla scorzatura eseguendo un taglio orizzontale alla base del tronco ed altro simile nella parte superiore. La cosa più delicata era procedere a un solo taglio verticale e adoperarsi per estrarre la corteccia senza farle subire danni: praticamente un bel cilindro. Questo era rifinito alla base e tagliato a un’altezza di circa sessanta centimetri. Il diametro interno ideale era di quaranta centimetri, poco più, poco meno. 

Rifinito il taglio superiore sempre con arnesi ben affilati si procedeva alla preparazione del coperchio ricavandolo da una lastra di sughero resa ben piatta dopo essere stata sottoposta al peso di massi. Era necessario ricucire il taglio verticale al cilindro con dei chiodi abilmente preparati in legno di olivastro o meglio ginepro, più aromatico. Anche il coperchio veniva bloccato con un paio di chiodi e rinforzato da doppia lastra affinché lu bugnu fosse ben riparato da umidità, caldo e freddo. Nella base del cilindro si doveva eseguire un pertugio triangolare di piccola dimensione: era l’ingresso, o il passaggio delle api. 

La fatica non era ancora ultimata poiché prima di invitare lo sciame a prendervi dimora bisognava avere l’accortezza di infilare due listelli a croce passanti a metà altezza del cilindro. Questo sarebbe servito da appoggio per la struttura dei favi che la famiglia sarebbe andata subito costruendo in profumata cera.  Contemporaneamente una squadra di abili api operaie avrebbe provveduto alla sutura di tutte le fessure della corteccia e alla ricucitura laterale  fra coperchio e cilindro con della propoli bottinata tra i teneri germogli degli alberi. Infine al buon amatore delle api non restava che strofinare all’interno del rustico alveare un bel mazzo di lavanda per renderlo aromatico e ben accetto dallo sciame a cui si andava a rivolgere cortese invito. 


A questo punto  la buona permanenza alle migliaia di infaticabili inquiline era dovuta e non avrebbero tardato a onorare degnamente il canone con dolce e aurea moneta, esente da qualsiasi caso di svalutazione!



Paolo Demuru

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