Buona Pasqua dal Museo di Balascia!
venerdì 30 marzo 2018
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sabato 24 marzo 2018
Il ritratto
Il mio ritratto |
Qualche giorno fa Barbara
si è presentata a me con matite e album da disegno:
-Voglio farti un nuovo
ritratto, sei disponibile?-
L’idea non mi è
dispiaciuta e, considerando il fatto che in tal operare è piuttosto svelta, ho
acconsentito volentieri alla fatica di trascorrere il tempo necessario quasi
immobile nella stessa posizione.
Realizzare un ritratto è
una fatica, un esercizio, ma anche un gioco per chi lo esegue, quale che siano
la tecnica e i materiali usati. È quasi sempre una sorpresa invece per il
soggetto rappresentato, quando si alza e si vede impresso su tela, legno o
cartone. Anche la persona più esperta non immagina come sarà vista in quel
particolare momento e, soprattutto, interpretato e realizzato dall’artista.
L’uomo col suo occhio può essere solito
vedersi riflesso nell’acqua, su di uno specchio, su una lastra alquanto
levigata ma non si vedrà mai attraverso l’occhio altrui se non qualora questi,
con ingegno e mezzi, lo traduca in realtà visiva; in un ritratto. Tutto questo
percorso può portare a legittima sorpresa da parte di chi si sottopone al
supplizio dell’immobilità, dell’intorpidimento e non ultimo del sonno, qualora
i tempi si allungassero... Sì, sono rischi che si corrono se l’artista è
sovente colto da ripensamenti, indecisioni o dal tarlo di non soddisfare
alquanto il cliente, o meglio, il paziente che per distrarsi, già si immagina con
doti che non avrà mai avute, benché sperate in quell’occasione rara o forse
unica.
Come affrontare, o meglio,
come potrebbero i due soggetti uscire dal ginepraio in cui si sono cacciati
ambedue, per curiosità e per orgoglio? Forse un protocollo o ricetta vera e
propria non esiste. Se l’artista si pone il problema di rincorrere la
soddisfazione del cliente attraverso miglioramenti fisici rischia che l’opera
perda di freschezza, di semplicità, di originalità ed egli stesso di serietà.
Dall’altro versante, se il cliente avesse simili aspettative immaginerebbe un
ritratto in cui potrebbe apparire simile ma non vero, forzato e pesante, quasi
una controfigura di persona, sì, ma
priva di personalità.
Comunque è bene non
drammatizzare troppo... nel peggiore dei
casi, si spera che sia l’artista a persuadere con buone maniere il suo paziente
che in quel fatidico momento, breve o snervante che fosse, la figura
rappresentata era proprio la sua, benignamente filtrata attraverso i propri
occhi e tradotta sulla tela con le sue mani, in tutta verità e sincerità.
Qualora il paziente si riprendesse in tempi ragionevoli avrebbero entrambi un
certo futuro.
Paolo Demuru
mercoledì 14 marzo 2018
Un Gatto nel “Museo"
Il gatto del Museo |
Qualche settimana fa ero a
Balascia in gradita compagnia di amici, e del Museo all'aperto. Al rientro
pomeridiano, dopo il solito frugale e veloce pranzo, abbiamo avuto la gradita
sorpresa di un ospite garbato e delicato. Garbato per il suo apparire semplice
e fiero, disinvolto e affettuoso, delicato perché il suo passaggio, leggero e
rispettoso, non lascia tracce che in qualche modo possano turbare la quiete e
l’armonia che dovrebbero legare la natura con gli esseri che la popolano.
Si è trattato di un bel
gattone dalla pelliccia lussuosa, pulita e rossiccia, dal passo lento e quasi
cadenzato, dallo sguardo felice. Si è avvicinato a noi, in tutta confidenza e
rispetto, strusciando più volte la sua faccia e il suo corpo ai nostri
pantaloni, per darne, secondo me, assoluta prova. Ci ha accompagnato
devotamente per tutti i nostri spostamenti, anche a lunga distanza, più spesso
seguendoci ma talora precedendoci, dopo le nostre fermate.
Al nostro richiamo,
sempre più insistente, non mancava mai da parte sua un segnale, un cenno, uno
sguardo, di apprezzamento o comunque di interesse da parte sua al nostro
interloquire. Probabilmente era solito recarsi nell’area dell’Oasi in vaghe
escursioni di caccia o solo d’amore, tanto era spensierato e a suo agio ovunque
ci ha seguito. Certo, qualche peccatuccio l’avrà pur commesso, ma sempre per lo
stomaco e non per cattiveria o insano agire. Qualche uccellino lo avrà predato,
abbandonandone le piume dopo il dovuto cerimoniale, e lucertole al sole ne avrà
avvinghiato, liberandosi esse inutilmente della loro coda per distrarlo dal
crudele pasto...
Di tutto questo e per
null’altro reo, se non per la vita e per conservare la specie, per competizione
sacrosanta e naturale e per rispondere fedelmente a leggi severe dove si
distingue e si identifica la vita stessa. Anche l’uomo si è dato leggi severe,
fino ad essere a volte poco chiare e interpretabili; intanto l’abilità umana è
misurata, non con il metro dell’osservanza e del rispetto, bensì, con quello,
fallace per tutti, del disimpegno o della trasgressione.
A questo punto mi giova
sentitamente tornare al mio ospite, distinto nell’atteggiarsi e composto nel
suo fare fino al momento duro del congedo. Quando la nebbia leggera, spinta dal
vento, aveva avvolto noi nell’area della nostra escursione e il felino dalla
pelliccia striata, decidemmo di salutarlo con l’auspicio di incontrarlo ancora.
Ci osservò negli ultimi
preparativi seduto e attento e quando lo riverimmo di sfuggita, prima di
chiudere la portiera della vettura, il suo sguardo si era già fatto serio e
malinconico, un po’ come il nostro, pensando che le sensibilità che vanno
scemando negli uomini possiamo ravvisarle, meno male, ancora nel volto dei
nostri compagni di viaggio qualora per un attimo gli degnassimo di uno sguardo.
Paolo Demuru
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giovedì 1 marzo 2018
Lattoni, lu frailagghju
Dentista, Paolo Demuru, 2018 |
Vi focciu un contu avvinutu tempu fa, ma d’avveru, in una ‘iddha di la Gaddhura. Antonimaria era un ciòanu di tutt’altu sanu e valenti, cuiuàtu da pocu e illu meddhu pisà la familia.
Com’agghju
dittu, netitu e bonu ma di dentatura minguenti. Denti nill’era ‘inutu mancu
altu senza dulori e fastidiu ma, da pocu aìa un massiddhaleddhu chi l’era
paldimintendi: piccheddhi a nott’e di e attediu pal dugna cosa da no pudessi
cumbattà manc’a ghjettu.
La cummari, chi stagghjìa a fiancu, arries’a lu puntu
di sigrittassi la muddheri e impunilla in chistu ‘essu:
-Palchì no li puniti in
capu d’andà unde Lattoni, lu frailagghju, chissu ni sa più di lu diaulu...
inventa, impriasta, faci e poni... ca lu sà chi no li faccia calche maìa di
falli be’-?
-Uài, cummari mea-,
rispundisi l’alta, -pa lu bonu sia lu chi m’aèti pruppostu, appena torra, si no
è spasimatu da lu dulori villa dicu e spiremu d’avviltinni middhori; ghjà
n’aemu bisognu cu li steddhi minori in fila e un’altu arriendi...-
Appena turresi
Antonimarìa, maccari affrittu e attidiatu ascultesi tuttu lu chi li disi la
femina e subbitu ci scisi dizzisu a intindè lu chi l’arìa dittu Lattoni, lu
frailagghju.
Chistu trabaddhàa in un
pindiacciu spaddh’a ventu; a perra di drentu nieddhu più di lu ‘farru, illi
muri e illi trai. Ancora li passoni, una ‘olta ‘ntrati, pariani paldì dugna
sumiddha e turrassi nieddhi come lu calboni chi brusgiàa ‘llu fraili. Lu
malcappittatu appena passatu lu mitali s’accustesi a l’omu c’era pistendi farru
caldu e li disi, abbrendi la bucca e tucchndis’a una perra:
-Figghjulami chistu
casciali chi m’è fendi paldì lu sintitu...-
Lu maniscalcu, ghindendilu
a occhj’a ghjanna, sill’astrolachesi be’ a fundu cumputendi cu li mani nieddhi,
pal sincerassi di lu di fa. Dachi vidisi be’ la situazioni li disi:
-Accòllu lu denti chi ti
doli, tant’è veru chi si moi, aspetta chi li femu la midicina...-.
Andes’a un’almarieddhu chi
v’era ‘llu muru e ni buchesi unu spau longu e ben’impiciatu, lu liesi a lu
casciali cu un bon nodu e invitesi Antonimarìa a pusassi addanazi a l’alcotina,
a undi lu liesi, prichendilu di stassi mut’e chiettu. Un omu chi v’era da
primma rittu e cuntrastendi silli punisi a li spaddhi e Lattoni alligresi lu
focu ‘llu fraìli.
Punisi illu calboni ‘ncesu un farru a ‘rruì sempri ciavanendi
cu l’amicu. Candu s’avvidisi chi chiddhu farru era a puntu di scagghjassi lu
piddhesi cu la tinaddha e l’accustesi furriosu a li tivi d’Antonimarìa. Chistu,
a la ‘ista di lu foc’arriendi, des’una ‘nculdata in daretu. Sarìa maccari
cadutu da lu banchitti si l’omu ch’aìa a li spaddhi no l’aìssia mantesu ten’a
pisassinni cilchendisi lu bunettu chi, pal fultuna, aìa ancora ‘n capu.
Dachi
s’aìsi appena, Lattoni li des’a bucciddhà una buccata d’acetu da un’ambula
nieddha chi buchesi da l’almariu di lu spau. Cu la mani illa spadda
l’accumpagnesi a la sciuta, ancora sustu; però chena lu denti... chena dulori, senza
spesi e nè riciuta.
Chistu avvinisi ‘n
viritai, a cantu mi stesi rifirutu e no solu, dapoi tutti silla sighìsini
allegri e cuntenti!
Paolo Demuru
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