giovedì 19 gennaio 2017

A proposito di Bernardo De Muro (a prupositu di Birraldinu lu Tinori)


Quest’oggi, sfogliando il mio libro (Cronaca di un Mito - Bernardo De Muro attraverso i quotidiani sardi) mi sono intrattenuto sulle pagine 50 -51 ove il cronista, oltre ad annunciare la manifestazione serale del grande Tenore, rievocava un altro avvenimento importante.

È il primo maggio del 1923 e Birraldinu si trovava a Cagliari per una serie di importanti recite al teatro Margherita  situato nell’omonima via e nella parte in maggior pendenza. Quella sera, nel bel teatro della capitale, doveva andare in onda l’Andrea Chénier, l’opera giovanile di Umberto Giordano, diretta dal maestro Luigi Solari e, poiché anche gli altri interpreti erano di prestigio e conosciuti, si attendeva un certo tripudio di folla. Erano occasioni che i Cagliaritani non si facevano sfuggire. 

Molti ricordavano l’esibizione del gennaio 1916, in piena guerra mondiale, quando il nostro artista si era esibito per beneficenza in favore delle vedove del tremendo conflitto.

L’autore dell’articolo colse l’occasione per rievocare una sua personale impressione colta direttamente a Venezia, tre anni prima, del Tenore gallurese. Ne racconta l’evento, il plauso della città lagunare attribuito per la riuscita dell’esibizione nel teatro Malibran la sera del 22 aprile 1920. Molti amanti del bel canto avevano disertato il teatro La Fenice, presente Giacomo Puccini, per dirigersi verso piazza S. Crisostomo con tutta l’intenzione di ascoltare ed applaudire il Tenore sardo cercando di scrollarsi un po’ del peso ancora incombente della non facile guerra.

A testimonianza dell’accorato tributo veneziano voglio trascrivere il sonetto di un anonimo ammiratore che l’autore dell’articolo dell’Unione Sarda del maggio di 83 anni fa semplicemente trascrisse, seguito da sobrio commento, visto il calore dei versi citati.

Nella gloria magnifica e divina
di Venezia ove l’arte ha culla e trono,
ogni anima alla tua arte s’inchina
presa e rapita dal superbo dono

del tuo canto che è bacio ed è carezza,
che è squilla fiammante di vittoria
che in se racchiude tutta la bellezza
che il tuo cammino sfolgora di gloria.

E commossa la folla estasiata
acclama: “Gloria a te, Divo e Signore,
gloria infinita” ed ecco appassionata

come la voce d’un fremente Iddio,
la tua voce vivrà nel nostro cuore,
perennemente nel nostro desio.

Neanche io mi permetto di aggiungere altro ai versi dell’anonimo se non, involontariamente, il freddo  di questo gennaio un po’ insolito.


Paolo Demuru