lunedì 5 giugno 2017

Balascia, i graniti eterni del Museo (Lu monti di lu Colbu)

I graniti del Museo

Alcuni giorni or sono ero a Balascia nell’area del Museo Tematico all’Aperto; era di sabato pomeriggio, ero solo e senza un lavoro particolare da eseguire. Sono arrivato mentre una nebbia leggera ed intermittente lambiva le alture e velava i graniti più alti  e vistosi. Ho pensato di scalare Lu Monti di Lu Colbu. Avevo solamente scarpe ed indumenti adatti, la macchina fotografica che solitamente mi accompagna, mi mancavano un paio di guanti per maggior tenuta, ma mi avventurai comunque. 

Andare ai piedi delle torri granitiche, ben visibili dall’ingresso, era mia ambizione da tempo; volevo vedere da vicino le condizioni della vecchia mandria e dei lecci cresciuti all’interno e attorno all’antica opera umana. Raggiunsi facilmente il sito e rimasi subito colpito dalle condizioni del manufatto, quasi intatto, solo parzialmente avvolto dalla vegetazione di eriche e, soprattutto, lecci cresciuti abbondanti e rigogliosi, tali da distogliere la visuale delle cime delle tre torri granitiche che siamo soliti osservare. Mi resi conto che con un modesto intervento di pulizia e riordino della foresta si poteva ottenere un risultato capace di un’accoglienza non da trascurare e di tutto rispetto.

Un lato della mandria doppia è formato dalla base delle torri granitiche mentre gli altri sono in muro a secco, in buono stato di conservazione, nonostante la folta presenza di edera selvatica in alcuni tratti, capace di particolare penetrazione e dall’azione demolitiva abbastanza energica. 

Osservai l’ingresso, solo privo di cancello, perché digerito dal tempo, ma facilmente ricostruibile. Pensai a quante capre vi saranno passate in due secoli di uso e di più a quanta fatica umana per la costruzione e lo sfruttamento, o meglio, l’utilizzo di quest’opera dell’ingegno e dell’esperienza. Pensavo all’ombra dei lecci, al riparo dai venti, all’aria filtrata e ossigenata che si poteva  respirare, mentre cercavo tra le cime degli alberi le cime delle torri lambite dalla nebbia e, quando la voglia di scalare mi rapì, cominciai la semplice arrampicata. 

Mentre salivo tutto diveniva più semplice e più vero. Mi sembrava di leggere una storia plurimillenaria disegnata come un fumetto, scritto con inchiostro indelebile sulle forme dei graniti, frutto di inesorabili crolli. Il caldo ed il gelo, i venti e le piogge, i sismi e i fulmini avevano creato un paesaggio intenso e drammatico; crolli ed erosioni avevano modellato la roccia ricavando le forme più bizzarre in elementi dalla stabilità quasi impossibile.

Volevo trattenermi a lungo a leggere, a scoprire, a farmi sorprendere, ma lo stesso tempo che con la sua generosità e severità aveva scritto quel libro che mi mostrava aperto, mi costringeva a sfogliare velocemente tra un colpo di vento e un velo di nebbia mentre il sole scendeva dietro l’Asinara... ed insisteva gentilmente: "scendi, è ora..."

Scesi, dunque, con il rammarico di aver scoperto solo una minima parte di tanta storia, di aver letto pochissimo di quel bel libro aperto di fronte a me; soddisfatto, alquanto, per aver scalato Lu Monti Di Lu Colbu senza guanti, senza funi e chiodi, senza offendere le millenarie opere ma ottenendo da esse quasi un commiato per averle volute devotamente visitare nella loro tacita fierezza.

La spelonca del falco è rimasta da me inviolata come le cime più ardite; per accedervi mi occorrevano ben altri mezzi e forse un po’ di coraggio in più oltre la volontà avuta e il senso di riguardo di cui mi ero ben provveduto.

Paolo Demuru