giovedì 9 giugno 2016

Il bicchiere della sorgente (la nappeddha)




Più insolito il termine o l’oggetto che richiama? Vediamo di dire qualcosa in proposito.
Intanto cominciamo con la materia che lo compone. Si tratta di una parte di corteccia della quercia da sughero o semplicemente sughera, pianta piuttosto frequente in Sardegna e nelle aree mediterranee dal livello del mare ai sei settecento metri.

Spesso il tronco di quest’albero pluricentenario può subire una crescita anomala imputabile a malformazione congenita o a intervento poco oculato durante la scorzatura. In ogni caso la quercia tende a coprire con la sua corteccia sugherifera l’escrescenza fibrosa del tronco stesso formando una sorta di parte concava nella lastra di sughero scorzato. Era in uso, in queste aree della Gallura ma non solo, prelevare la corteccia concava per vari usi, e questo ben prima che la corteccia sugherifera avesse  conseguito gli sviluppi commerciali degli ultimi due secoli.

Fra gli altri usi, vari e degni di minor considerazione, me ne viene in mente uno che per lungo tempo è stato in voga . Nelle sorgenti con acqua considerata di particolare pregio e maggiormente frequentate, si trovava sovente l’oggetto concavo appena descritto, rifinito con taglienti coltellini, di cui i pastori andavano sempre provvisti e, a volte con inciso l’anno di preparazione. Detto oggetto era identificato con il termine, dall’etimologia incerta e intraducibile, di Nappeddha;  ma quale uso che se ne faceva? Semplicemente cogliere dalla sorgente acqua per bere.

Il passante o il frequentatore della sorgente la trovava spesso poggiata in un canto laterale con la parte concava verso il basso e pronta all’uso. Pur nell’ambiente umido dove trovava alloggio era destinata a durare diversi anni e appena era piuttosto logora veniva tacitamente e sorprendentemente rinnovata dopo aver dissetato varie persone in tante stagioni. Sicuramente oggi tale prestazione sarebbe in odore di poca igienicità ma, in passato, il disimpegno era tale che per renderla alquanto igienica bastava risciacquarla con acqua corrente e dissetarsi in tutta tranquillità.

Oggi è raro incontrarne ancora. La sua funzione è demandata a qualche bicchiere in plastica bianco e leggero, infilato su di un ramo o capovolto presso lo sgorgatoio; non diverso da quanti altri ne possiamo notare in ogni dove abbandonati, perfetto segno di inciviltà da parte di chi lo abbandona e di irriverenza nei confronti degli altri e dell’ambiente.

L’aspetto degli odierni bicchieri messi a disposizione presso le fontane non ci dispone certo al loro uso e il senso di rifiuto sorge spontaneo. Non credo, però, che il nostro ribrezzo sia tutto da attribuire al fattore igienico, ma forse anche un po’ a quel senso di sfiducia verso oggetti di produzione industriale, che soverchiano i nostri oggetti tradizionali, simboli di identità e di un’appartenenza che per secoli ci ha reso singolari.

Paolo Demuru

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