martedì 19 luglio 2016

La trota del fiume (la trota di lu Rìigghjolu)




La trota del fiume, colori a cera su cartoncino, Paolo Demuru, 2016

Osservando dai punti panoramici che s’incontrano sul versante est e sud della nostra area, scorgiamo in buona parte la vallata, scavata durante la sua lunga vita da lu Rìigghjolu (fiumiciattolo). 

Esso ha sorgente presso il Passo del Limbara proprio sulla strada provinciale Oschiri-Tempio, da dove, seguendo il pendio più o meno accentuato che comunque degrada man mano che si avvicina al lago (Coghinas) dove sfocia, il torrentello ha dato motivo all’insediamento dei miei antenati già da oltre due secoli e mezzo, ed ad altre famiglie che vi si sono aggiunte alla fine dell’ottocento. 

Ha donato generosamente le sue acque limpide che faceva scorrere tra due filari di ontani per dissetare, innaffiare, lavare, quando la calura estiva imponeva i suoi rigori. 

Nei periodi di forti piogge ha mostrato tutta la sua irruenza nelle acque torbide e talora tanto impetuose da scoraggiare ogni tentativo di guado o d’attraversamento, poiché non disdegnava appropriarsi dei modesti ponti in legno predisposti  per necessario disimpegno. 

È stato provvidenziale nel suo dare ma per questo, tra gli uomini, non sono mancate rivalità e motivi di scontro, ma ha fatto anche girare macine di mulini per oltre mezzo secolo e ha favorito il rinnovamento di parecchie generazioni. 

Ha accolto le fatiche di tante massaie e le aspettative di quanti vi hanno coltivato orti e piante lungo il suo breve corso. 

Lu Rìighjolu era prodigo non solo per quanto ho semplicemente riferito ma anche per un’altra dote millenaria, fino a quando non ne è stato spogliato, suo e nostro malgrado. Nelle sue acque, fresche d’estate perché all’ombra degli ontani e altrettanto tiepide d’inverno per le stesse ragioni, vi guizzavano trote e anguille

Ricordo quando osservavo le trote, a volte solitarie e a volte in branco, pascolare lente e tranquille nell’orlo delle piscine ma pronte a scomparire sotto i graniti o tra i limi verdi che ricoprivano parte del letto. 

Grandi e piccole, sempre maculate di nero e di rosso, potevano essere pescate a mano, se abili, con ami provvisti di adeguata esca o sparando una pallottola di fucile vicino alla testa. In questo caso lo spostamento dell’acqua tramortiva il pesce che facilmente poteva essere raccolto quando la corrente stessa lo trascinava a portata di mano. 

Per le anguille (l’anghiddhi) bisognava essere ancora più abili e fare uso di fiocine (li fruscini) ben provviste di fendenti acuminati. Poteva farsi ricorso all’uso di nasse (sorta di imbuti  costruiti con giunchi o vimini) collocate nelle strettoie e nei punti dove l’acqua acquistava maggior velocità.

Negli anni cinquanta, per un prelievo sempre più insensato che non teneva più conto del fabbisogno reale ma del vago apparire,  della scommessa o del confronto e l’uso di particolari marchingegni di cattura (corrente elettrica, o sostanze aggressive come lue o calce), le trote sono andate scomparendo

I mezzi usati, oltre a facilitare la cattura del pesce grosso, distruggevano gli avannotti (li ciarretti) e, non ultimo, le prede, per cui neanche l’impianto costruito sul Limbara per allevare uova ed avannotti da immettere nel fiume vi ha portato rimedio e le trote sono scomparse da lu Rìigghjolu.

Perfino le sue portate d’acqua sono diminuite e in certi periodi dell’anno quasi non scorre più. Avvicinandosi alle sue rive spesso non si ode più il suo rumorio ritmico e armonioso che invitava, tanti anni fa anche la mia gattina esperta di pesca. Tante volte l’abbiamo sentita miagolare, presso l’uscio e, affacciandoci, l’abbiamo vista ancora bagnata in parte e con in bocca insolita preda: una trota, appena pescata.

Il torrentello aveva un legame di affetto con molti valligiani e questi ultimi con esso: avvicinarsi al fiume era quasi un rito e perfino Bernardo De Muro, (Birraldinu, lu Tinori il cui padre era nato presso le sue rive) durante le sue permanenze tra i parenti, non perdeva l’occasione di dedicare un pomeriggio a cercare di pescare trote nelle sue acque.

Questo ed altro è stato lu Rìigghjolu finché gli uomini hanno manifestato buon senso e fatto ragionevole uso  dei doni insostituibili che Madre Natura ha gratuitamente offerto sul suo provvido piatto d’argento.

Paolo Demuru

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