lunedì 16 maggio 2016

Lavori del passato



Balascia, massi per aia


Presso il nuraghe Ruju, a una quarantina di metri, nel pianoro verso sud, vi era uno spiazzo dove  cresceva rigogliosa una vasta colonia di gramigna. Legava il terreno a modo che qualunque traffico non ne distoglieva il suo tessuto dal suolo. I nostri antenati vi portavano i covoni del grano appena mietuto e li ammassavano al confine dello spiazzo. 

Quando decidevano di mondare il grano dalla paglia ossia separare le cariossidi dalle spighe  ammucchiavano i covoni slegati al centro dello spiazzo.  Aggiogavano  buoi, anche diverse paia e trainando un masso che legavano con una fune al giogo, con andamento circolare sul mucchio cercavano di sminuzzare e frantumare le spighe. Gran parte dell’opera era risolta anche dagli zoccoli ferrati dei buoi stessi e in minima parte dall’uomo che li seguiva. Questa operazione durava finché le spighe non erano tutte frantumate e le cariossidi liberate dall’involucro legnoso.

A questo punto i buoi venivano allontanati e con dei forconi asportata tutta la paglia e ammucchiata in un lato sottovento. Il lavoro doveva essere eseguito nelle ore più calde affinché l’umidità della notte non influisse negativamente sulla frantumazione delle spighe.  

Il caldo e la polvere portavano a uno sforzo notevole, per cui, data anche l’ora, gli operatori si arrendevano al pranzo quasi augurale poiché, a breve avrebbero finalmente messo al sicuro la fatica dell’annata. Non era proprio così. Per separare il grano dalla pula era necessario attendere il pomeriggio, quando la brezza si faceva sostenuta e gentile per sollevare con pale di legno e abile gesto grano e pula per la separazione. Tutto doveva avvenire nel più breve tempo possibile se si voleva evitare che formiche ed uccelli appagassero le loro voglie prima del contadino.

Avevamo preservato per tanti anni tre dei massi usati allo scopo (nei massi veniva scavato a mano un solco per legarvi la fune del traino) ma dei tre possiamo mostrarne  solo l’immagine poiché due di essi furono rubati negli  anni scorsi. 

È l’ultima testimonianza di un’attività millenaria scomparsa per sempre.


Paolo Demuru

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