mercoledì 20 giugno 2018

Questa mattina... in un sogno...Il Mulino ad acqua

Idealizzazione di uno spaccato del mulino idraulico costruito dal Cav. Bua sul torrente Lu Riigghjolu alla fine dell'800.

Questa mattina mi sono svegliato piuttosto presto, ho guardato l’ora e mi sono permesso di indugiare ancora un po’ a letto e un sonno leggero mi ha pervaso; quel sonno mattutino che spesso si carica di riflessioni, di rimembranze, di sogni che appena svegli si dimenticano. A me il sogno di questa mattina è rimasto impresso e ve lo voglio brevemente riepilogare. Forse non godrà l’interesse di molti, ma quello mio personale e quello di un certo ragazzo sicuramente sì: si tratta di un fanciullo che già è venuto a rendere il mio sonno vagamente impegnato altre volte, in passato.

Questa mattina mi è dato di incontrarlo indaffarato presso un minuscolo ruscello che a maggio, in quei piovosi anni cinquanta ancora scorreva vivace, superando pendii tra rapide, cascatelle e qualche breve ansa, presso la casa in cui era nato e vi aveva trascorso appena un paio di lustri. Incontrato, come ho detto, alle prese con un tronco di canna che aveva spaccato e intendeva usare per prelevare dell’acqua prima di una cascatella ed incanalarla a modo di acquedotto.

Aveva sistemato le due canne in posizione di tegola per trasportare l’acqua il più lontano possibile, sì da farle fare un bel salto, o cascata. Per sostenere l’acquedotto pensile aveva usato forche di legno conficcate all’estremità inferiore nella terra umida ai margini del piccolo corso d’acqua. Osservò il liquido scorrere nelle canne che dopo un certo salto già scavava la sabbia umida fra il crescione e la menta che vi erano verdi e tenere. Vi pulì accanto un piccolo spiazzo e corse verso casa, pensando ad una prova, anzi, ad un collaudo vero e proprio. Cercò, frugò in un nascondiglio segreto a fianco del muro che si trovava all’interno dell’orticello che fiancheggiava la sua casa e ne trasse un modesto marchingegno in legno e sughero; collocatolo sotto il braccio destro corse al ruscello.

Collocò il manufatto a fianco all’acqua che scendeva trasparente dalla canna che già schizzava sui cucchiai in legno collocati sulla circonferenza di una ruota in sughero che subito cominciò ad accennare la sua rotazione che attraverso l’albero doveva far muovere un semplice ingranaggio atto a trasformare il movimento orizzontale in verticale.

In cima all’asse verticale vi era solidale una ruota piena che ruotava a contatto dell’altra inferiore fissa attraverso la quale passava l’alberino in movimento. Il collaudo che si aspettava non aveva tradito, si era manifestato secondo le sue attese, almeno finché il legno ed il sughero non avevano assorbito tanta acqua da  rallentarne o impedirne i movimenti.

Mentre il fanciullo si godeva lo spettacolo, ripagato e soddisfatto, vide in lontananza il proprietario dell’area che approssimava e sarebbe passato proprio in quel punto. L’imbarazzo fu tanto, pur sicuro che non l’avrebbe ripreso. Non voleva, in ogni caso,  affrontare il confronto diretto e si nascose dietro un giovane ilatro, coperto abbondantemente di ‘itialva (clemàtide) che lo rendeva quasi impenetrabile.

Da quella posizione, sicuramente non visto, aveva osservato l’uomo, poco più che cinquantenne, avvicinarsi al guado e, sul punto di allungare il passo per saltare il rigagnolo fermarsi un attimo, osservare il manufatto in movimento con una smorfia compiaciuta, tra le libellule nere che volavano indifferenti. Quando l’uomo era ormai scomparso dalla vista il giovinetto tolse le canne, e le strinse con una mano, prese sottobraccio il prototipo gocciolante e scappò velocemente verso casa. Era soddisfatto di avere riprodotto in miniatura il mulino idraulico che per mezzo secolo vi aveva girato a poche centinaia di metri.

Per me il sogno mattutino, che per un attimo mi aveva portato in una lontana e nostalgica realtà, svanì consegnandomi a ben altre premure.


Paolo Demuru

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