sabato 24 marzo 2018

Il ritratto

Il mio ritratto
Qualche giorno fa Barbara si è presentata a me con matite e album da disegno:
-Voglio farti un nuovo ritratto, sei disponibile?-
L’idea non mi è dispiaciuta e, considerando il fatto che in tal operare è piuttosto svelta, ho acconsentito volentieri alla fatica di trascorrere il tempo necessario quasi immobile nella stessa posizione.

Realizzare un ritratto è una fatica, un esercizio, ma anche un gioco per chi lo esegue, quale che siano la tecnica e i materiali usati. È quasi sempre una sorpresa invece per il soggetto rappresentato, quando si alza e si vede impresso su tela, legno o cartone. Anche la persona più esperta non immagina come sarà vista in quel particolare momento e, soprattutto, interpretato e realizzato dall’artista.

L’uomo col suo occhio può essere solito vedersi riflesso nell’acqua, su di uno specchio, su una lastra alquanto levigata ma non si vedrà mai attraverso l’occhio altrui se non qualora questi, con ingegno e mezzi, lo traduca in realtà visiva; in un ritratto. Tutto questo percorso può portare a legittima sorpresa da parte di chi si sottopone al supplizio dell’immobilità, dell’intorpidimento e non ultimo del sonno, qualora i tempi si allungassero... Sì, sono rischi che si corrono se l’artista è sovente colto da ripensamenti, indecisioni o dal tarlo di non soddisfare alquanto il cliente, o meglio, il paziente che per distrarsi, già si immagina con doti che non avrà mai avute, benché sperate in quell’occasione rara o forse unica.

Come affrontare, o meglio, come potrebbero i due soggetti uscire dal ginepraio in cui si sono cacciati ambedue, per curiosità e per orgoglio? Forse un protocollo o ricetta vera e propria non esiste. Se l’artista si pone il problema di rincorrere la soddisfazione del cliente attraverso miglioramenti fisici rischia che l’opera perda di freschezza, di semplicità, di originalità ed egli stesso di serietà. Dall’altro versante, se il cliente avesse simili aspettative immaginerebbe un ritratto in cui potrebbe apparire simile ma non vero, forzato e pesante, quasi una controfigura di persona, sì,  ma priva di personalità.


Comunque è bene non drammatizzare troppo...  nel peggiore dei casi, si spera che sia l’artista a persuadere con buone maniere il suo paziente che in quel fatidico momento, breve o snervante che fosse, la figura rappresentata era proprio la sua, benignamente filtrata attraverso i propri occhi e tradotta sulla tela con le sue mani, in tutta verità e sincerità. Qualora il paziente si riprendesse in tempi ragionevoli avrebbero entrambi un certo futuro.

Paolo Demuru

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