venerdì 10 maggio 2019

L’ombra della luna



Quando ero bambino si era ancora soliti sedersi le sere d’inverno presso il camino acceso a sgranocchiare arachidi o arrostire castagne sotto ceneri e carboni roventi. La luce, a volte scarseggiava, o era solo quella del fuoco, acceso per cuocere vivande e per creare un angolo caldo che conciliasse la riunione della famiglia dopo cena.

In quei momenti le persone più anziane erano solite ricordare eventi del loro passato, vissuti o tramandati oralmente. Si trattava sovente di eventi tragici, ironici, intrecciati di fantasmi ed eroismi, spesso gonfiati dal recitante del momento; si trattava di intrattenere i bambini e conciliare sonno agli adulti che, spesse volte, organizzavano l’andata a dormire prima della fine della novella.

Fra le tante me ne viene alla mente una risalente a parecchi anni prima che io nascessi...
Erano i tempi in cui la strada Oschiri-Tempio era piuttosto giovane ( forse trentenne, si ricorda che detta via era stata aperta intorno al 1870) e da Tempio scendeva a passo non certo sostenuto un uomo sulla cinquantina. Era da parecchio tramontato il sole quando aveva superato le ultime case della cittadina ma la notte era stellata e poi la luna, non ancora sorta, avrebbe schiarito la via larga e sgombra da mezzi. Superato l’abitato di Fundu di Monti si apprestò ad affrontare le ultime curve, in ombra prima di raggiungere  L’Utaru, l’attuale Passo del Limbara. Doveva raggiungere l’Agnata, località non distante dalla cantoniera di Gaddhau.

Arrivando al detto passo si trovò la luna al fianco sinistro, tutta d’argento, con il suo sorriso malizioso come quello di chi fa promesse sicure ma da onorare sempre in data da destinarsi. Il passante calzava scarpe pesanti con la suola chiodata pantaloni di fustagno, la camicia bianca senza colletto a punte sotto un gilet (lu cansciu) di velluto e, infine, la giacca di velluto anch’essa. Portava sulla spalla sinistra una piccola bisaccia in lana bianca e con dei ricami a colori con all’interno poche  spese (l’ncumandìzii) appena fatte in città. Si era di mezza stagione, ma era prudente portare il capo coperto, specie se incombeva l’umore della sera; infatti, calzava il lungo cappuccio nero (la barretta) che li arrivava fino alle spalle.

Aveva con se un oggetto particolare, allora molto comune, di cui raramente si faceva a meno. Quest’oggetto infondeva sicurezza e solennità, esigeva riguardo e rispetto, era per così dire un amuleto. Era capace di dare coraggio e forza. Da molti era usato con grande rispetto e tanta cautela, da altri anche a sproposito. Era il suo fucile e lo teneva appeso alla spalla destra, sempre pronto per essere impugnato in maniera facile e veloce in quei momenti in cui l’uso o la difesa personale potevano essere ritenuti assolutamente necessari.

Ma torniamo al soggetto, ancora alle prese con la dolce luna del Passo che si apprestava ad avere proprio di fronte, quando per un involontario sguardo verso destra intravide come una figura scura dietro di se; sorpreso guardò la strada davanti a lui ampia e chiara, a tratti coperta di ghiaia granitica e, molto insospettito, sfilò l’orologio dal taschino del gilet. Abbassando lo sguardo  vide le due frecce sul dodici. Era mezzanotte, l’ora dei fantasmi, delle anime purganti e di non so quali altre incombenze che dissuadevano assolutamente dal farsi sorprendere in certi siti in quell’ora. Voltò, nuovamente, la coda dell’occhio con tanta circospezione e vide ancora la figura nera dietro di se ancora più grande e minacciosa di prima; sembrava raggiungere le sue calcagna, gli sembrò che stava per aggredirlo, agguantarlo, ingoiarlo... Non c’era troppo tempo da perdere: o vincitori o vinti. Scese l’arma dalla spalla e con fare deciso e rispettoso segnò  con il pollice destro una croce sulla base delle canne... sollevò i martelli, voltatosi di scatto scaricò, con tutta la potenza delle polveri contenute il carico di piombo che stava all’interno delle canne su quell’ombra silenziosa che lo seguiva.

Le pallottole roventi si infransero in infinite schegge sul pavimento duro della strada con atroce miagolio e l’uomo, riportata in spalla la sua arma fedele, riprese il cammino verso l’Agnata. Sicuro che il maligno non fosse più minaccioso dietro di sé proseguì senza dare peso all’ombra che lo seguiva ancora.

La luna si affaccia sempre sul passo del Limbara con la sua luce e forma ancora ombre impalpabili e innocenti come allora e qualche segno di piombo non manca.


Oggi, osservando il cartello che indica la località che sta sulla collina, ad ovest del passo impallinato, verrebbe da pensare: o qualche scheggia di quelle antiche pallottole ancora vaganti lo ha colpito, oppure qualche superstizioso dei giorni nostri ha pensato di sbarazzarsi di chissà quale maligno alla maniera del passato.

Paolo Demuru

Nessun commento:

Posta un commento