venerdì 15 dicembre 2017

L’ovile (lu ‘accìli)

L'ovile presso il Nuraghe Ruju (foto Lorena Mameli, aprile 2017)

I furti di bestiame nell’ottocento erano arrivati a livelli veramente insopportabili. Si erano messe in essere tutte le astuzie possibili ed immaginabili nell’arte di rubare il bestiame, portarlo lontano, oppure macellarlo in brevissimo tempo per sfuggire ad ogni controllo. Trattasi di illecito praticato sin dalla preistoria, tanto che pure la mitologia lo ha preso in considerazione. In tutta la Sardegna, e non solo, si consumava lo stesso reato in modo diverso e adeguato alle specifiche condizioni dei luoghi, delle persone, delle abitudini. Multe, condanne e sistemi dissuasori non sono mancati e non sono bastati e non basteranno fino a quando la pastorizia o gli allevamenti non avranno perso valore di mercato.

Fra i provvedimenti atti a scoraggiare l’abigeato credo che quanto escogitato a fine ottocento possa ritenersi quello tra i più rivoluzionari: la marchiatura e l’anagrafe degli animali. Intendo riferirmi al Regio decreto del 14 luglio 1898 n 404, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 settembre 1898 N 225 e da attuare entro i sessanta giorni successivi; comunemente detto “legge del ‘99”. Si adeguarono gli uffici pubblici con spiegamento di personale e autorità, registri e penne. Si adeguarono, a fatica, i proprietari preparando lo stampo con le iniziali in metallo e l’impugnatura in legno per evitare il calore, quando lo stesso doveva immettersi nelle brace ardenti. Si dovettero adeguare le mandrie a disporre i loro fianchi al ferro rovente che gli procurava un segno distintivo e indelebile. Adeguarono o costruirono degli ovili nuovi e ben capienti per l’occasione, poiché si usava convogliare il bestiame di diversi proprietari, per comodità, in un solo sito.

Intanto questa occasione diveniva un momento importante; esibizione del bestiame, confronto del colore, razza e condizione a merito dell’attaccamento e della capacità del vaccaro. Esibizione di illustri scrivani accompagnati da gendarmi dai cappelli fregiati. Divenne sempre più un momento conviviale, dove la colazione era spesso accompagnata da bicchieri che passavano sovente dall’umido all’asciutto e viceversa.

Anche l’area del Museo Tematico all’Aperto a Balascia fu teatro di queste cose. Qui agli inizi del novecento fu costruito un grande ovile anche per questo scopo. A breve distanza dal nuraghe Ruju il nonno Giovanni aveva trasformato l’incontro dei tre appezzamenti più grandi della sua proprietà di Balascia in un recinto con tre ingressi per varie opportunità: far convergere i suoi animali da ogni appezzamento, destinarne ognuno a semina o a riposo e, infine, grazie alla sua congrua dimensione, ricevere anche il bestiame dell’area limitrofa in occasione della marchiatura.


Dopo mezzo secolo la “legge del 99” cominciò ad essere messa in discussione perché metodo cruento e poco riguardoso nei confronti delle bestie, pur sempre compagne di vita dell’uomo. L’effetto doloroso è stato superato da un altro sistema forse più indolore per l’animale ma con più burocrazia per l’allevatore. Negli ultimi anni i burocrati partecipano sempre meno all’evento. Le alzate di gomito sono ormai nel dimenticatoio, scoraggiate dagli introiti sempre più bassi degli allevatori e la drastica scomparsa dei capi bovini. Mentre le carni arrivano da lontano i vecchi ovili sono crollati o quasi, sotto rovi e disuso. Anche il recinto presso il  nuraghe Ruju mostra segni di forte degrado; attende, ormai impaziente, il riordino del potente muro che lo ha distinto per ben oltre mezzo secolo. Attende il rifacimento e il posizionamento dei cancelli in legno (li iachi) per poter sognare tranquillo il muggito delle mucche e la limpida voce dell’allevatore mentre s’appresta alla mungitura, all’alba o al tramonto. Purtroppo scuote sdegnato la testa quando sente il sibilo del vento sui cavi dell’alta tensione, che senza rispetto lo sovrastano sfiorando quasi i ruderi del vetusto Nuraghe. Noi, il centenario ovile, lo mostriamo nei panni in cui si trova, provato e lacero, riproponendone la sua gloriosa gioventù, drammatica e semplice, ma altrettanto dignitosa.

Paolo Demuru

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