Tra l’allevamento minuto possiamo
annoverare quello delle api che fin dalla notte dei tempi è celebrato anche
nella bibbia; l’uomo ha seguito con stupore ed interesse le api traendone dal
suo allevamento il dolcificante più naturale e più nobile. Oggi non si parlerà
del dolce nettare ma dell’alloggio che l’uomo delle nostre aree riservava al
prodigioso insetto.
Qui in Gallura, tra maggio e giugno si presenta il momento opportuno
per la scorzatura della quercia da sughero. Il contadino sceglieva il tronco
adatto: dritto , liscio e che presentasse una corteccia sugherifera uniforme e
compatta. Procedeva alla scorzatura eseguendo un taglio orizzontale alla base
del tronco ed altro simile nella parte superiore. La cosa più delicata era
procedere a un solo taglio verticale e adoperarsi per estrarre la corteccia
senza farle subire danni: praticamente un bel cilindro. Questo era rifinito
alla base e tagliato a un’altezza di circa sessanta centimetri. Il diametro
interno ideale era di quaranta centimetri, poco più, poco meno.
Rifinito il
taglio superiore sempre con arnesi ben affilati si procedeva alla preparazione
del coperchio ricavandolo da una lastra di sughero resa ben piatta dopo essere
stata sottoposta al peso di massi. Era necessario ricucire il taglio verticale
al cilindro con dei chiodi abilmente preparati in legno di olivastro o meglio
ginepro, più aromatico. Anche il coperchio veniva bloccato con un paio di
chiodi e rinforzato da doppia lastra affinché lu bugnu fosse ben riparato da umidità, caldo e freddo. Nella base
del cilindro si doveva eseguire un pertugio triangolare di piccola dimensione:
era l’ingresso, o il passaggio delle api.
La fatica non era ancora ultimata
poiché prima di invitare lo sciame a prendervi dimora bisognava avere
l’accortezza di infilare due listelli a croce passanti a metà altezza del
cilindro. Questo sarebbe servito da appoggio per la struttura dei favi che la
famiglia sarebbe andata subito costruendo in profumata cera. Contemporaneamente una squadra di abili api
operaie avrebbe provveduto alla sutura di tutte le fessure della corteccia e
alla ricucitura laterale fra coperchio e
cilindro con della propoli bottinata tra i teneri germogli degli alberi. Infine al buon amatore delle api non restava che strofinare all’interno
del rustico alveare un bel mazzo di lavanda per renderlo aromatico e ben
accetto dallo sciame a cui si andava a rivolgere cortese invito.
A questo punto la buona permanenza alle migliaia di
infaticabili inquiline era dovuta e non avrebbero tardato a onorare degnamente
il canone con dolce e aurea moneta, esente da qualsiasi caso di svalutazione!
Paolo
Demuru
Nessun commento:
Posta un commento