Era ormai quasi buio quando comparve alla
porta una persona a cavallo: parlò con i miei e poi proseguì il suo cammino.
Non poteva trattenersi oltre quella sera perché doveva raggiungere un altro
casolare di parenti. Era Antonistevene
‘emuru, come era chiamato e conosciuto a Berchidda dov’era nato il 2
febbraio del 1901.
Era sulla cinquantina ed
io forse sui cinque o sei anni. In seguito sentii parlare spesso di quest’uomo
dai miei, ricordare le sue doti di compositore e cantore dei suoi stessi versi,
amabile e di buona compagnia. Gradiva trascorrere molto del suo tempo a rendere
visita ai suoi parenti nella Gallura di Oschiri, specie in occasioni di
matrimoni, battesimi, cresime o semplici ammazzatogghj
di polcu (la tradizionale uccisione del maiale), sempre disponibile ad esibire la sua bella voce, a fare si che
l’intrattenimento, di qualsiasi natura fosse, raggiungesse un buon risultato.
Negli anni settanta andavo
spesso a trascorrere periodi di ferie con moglie e figli piccoli a Vilgagghju; con mio suocero, parlavamo
spesso di quest’uomo, docile e spensierato, non troppo fortunato in amore ed
affetti ma dotato di ugola e poesia e, ormai, su con gli anni. Nei primi
d’autunno del 1978, mio suocero mi chiese di accompagnarlo a Berchidda per
rendere visita al caro parente. Non me lo feci ripetere due volte. Ci
preparammo, presi la macchina e subito fummo in strada, decisi ad incontrare Zi’Antonistevanu.
Seguimmo la via più breve
per cui svoltammo a sinistra alla fine del primo troncone del ponte Diana e per
l’allora strada bianca giungemmo senza fatica al luogo desiderato. Berchidda,
un piccolo slargo -Chissa podaria esse la
casa d’Antonistevanu- (quella potrebbe essere la casa di d’Antonistevanu), disse mio suocero, ed
io fermai prontamente il mezzo per un attimo di riflessione. Mentre,
dall’interno della vettura, ci guardavamo intorno un anziano, vagamente curvo e
con un pentolino in alluminio alla mano destra arrivò ed entrò dalla porta
socchiusa che avevamo già osservato. -Millu
mi’, chiss’è iddhu- ( eccolo, è lui), concluse mio suocero. Scesi e ci
apprestammo alla porta che era divenuta socchiusa e bussammo; una donnetta
snella ma non più fiorente aprì, ci scrutò ed esclamò facendo, con un inchino,
un passo indietro e chiamando, poi, il fratello –Ite so idende! Abbaida Antonistè’ ite bell’improvvisada. Abbà’! E benennidos..., intrades... (Che
cosa sto’ vedendo! Guarda Antonistè’,
che bella improvvisata, guarda! E benvenuti…, entrate…) - Seguirono strette di
mano, abbracci, convenevoli vari, abbondanti ed affettuosi.
Prendemmo posto in alcune
poltroncine, presso un tavolo, circondati dalle premure dell’anziano cantautore
e della sorella Giovanna Maria. Ammaliati da mille chiacchiere, consumammo
insieme una cenetta niente male a base di formaggi, salsicce e qualche sorso di
buon vino delle assolate pendici del Limbara. Zi’Antonistevanu ricordava con trasporto ad uno ad uno i parenti
della vallata di lu Rìigghjolu, le
prove di canto con Mario Scano e Luigino Cossu a “Frati Cani”, così come le
tante serate sui palchi, perfino a Cagliari e Genova. Ricordò con commozione le
due figliole lontane e il distacco dalla consorte con dovizia di particolari.
Raccontò delle riflessioni e dei momenti malinconici trascorsi in solitudine,
lontano dai palchi e dagli amici che tanto voleva vicini. L’ora trascorse così
velocemente che quando ci ricordammo di dare uno sguardo all’orologio, questo
segnava le cinque del dì seguente. La sorella Giovanna Maria, scusandosi, si
era ritirata già da diverse ore nella stanza attigua. Non ci restava che
prendere con noi la copia del libro che il nostro ospitante aveva pubblicato
l’anno precedente, che tanto ci aveva caldeggiato, perché i versi contenuti
erano la sua vita, la sua gioventù giullaresca, la sua fragilità, la sua
saggezza conquisa a caro prezzo.
Rientrammo a casa
inseguiti gradevolmente dal chiarore dell’alba portando con noi le premure
della gentile sorella e dell’umile menestrello che tanto aveva allietato, al
lume del fuoco o al più, di candela, i parenti e non solo, giovani ed anziani
nelle frazioni della Gallura di Oschiri.
L’anno dopo, venimmo a
sapere, che era deceduto a Codrongianos in una casa di riposo per anziani.
Paolo Demuru
Si. Polo Demuru
RispondiEliminaHo letto con piacere il suo ricordo di Antoni Istevene 'Emuru
Lo possiamo pubblicare nel giornale Bimestrale DI Berchidda Piazza del Polopo (WWW-quiberchidda.it), ovviamente a suo nome)
Grazie
Giuseppe Meloni
melonigiu@tiscali.it