La Mandra di Balascia |
A Balascia, nell’area del Museo Tematico
all’Aperto, tra le altre tracce visibili del lavoro umano vi sono i ruderi di
due mandrie, sorta di recinti costruiti
in muratura a secco, di ricovero per il gregge. Parlare di una di queste
è, senza dubbio, tornare un po’ indietro, non tanto nel tempo come tale, quanto
nel processo economico sociale che, dico io, in sì breve volgere di anni ce ne
ha allontanati. Cercando, appunto, di fare memoria attraverso il polverone che
ci divide e facendoci condurre da quel filo immaginario che ci può unire,
vediamo se, in breve, è possibile
manifestare il mio intento.
La mandria, nella vita agro pastorale di
anni addietro assumeva importanza quasi vitale per i rapporti tra gregge (di
capre soprattutto) e pastore; per questo la sua collocazione nell’azienda
godeva di non poca riflessione. Tra le tante opportunità che doveva assolvere
vediamone alcune: vicinanza alla casa del pastore, luogo asciutto, base solida,
in leggera pendenza e al riparo dai venti.
Il recinto, spesso, era alto e sormontato
da (lu rasittu) frasche dure e
pungenti (rami di ginepro) per dissuadere le capre dal loro facile saltare.
L’unico accesso era assicurato da un cancello
in legno (la ‘jaca) di ginepro
od olivastro (nibbaru o uddhastru)
costruito dallo stesso pastore. Poteva aprire verso l’interno o l’esterno
poiché il perno era sistemato, solitamente, al centro del muro che lo reggeva.
Il fermo era sovente risolto con due legni amovibili che conficcati nel muro,
nel lato opposto al perno, ne assicuravano la chiusura e ne favorivano
l’apertura.
Una pertinenza immancabile illa mandra capruna era (lu salconi) il ricovero dei capretti destinati alla
commercializzazione. Si trattava di un tunnel o corridoio a sezione triangolare
con ingresso dall’interno della mandria e corpo esterno ad essa. Questo particolare
era quello che distingueva la mandria delle capre da quella delle pecore,
generalmente più semplice e spesso un chiuso risolto semplicemente con cisto (mucchju) o frasche simili, e che aveva
pavimento in pietrame e pareti interne in tronchi che si incontravano verso
l’alto per essere coperti ancora con zolle di terra o pietrame stesso. I tronchi potevano essere sostituiti da
lastre in granito le cui estremità superiori si incontravano per assicurare la
maggior stabilità.
Una mandria poteva avere uno o più salconi, a seconda della capienza o
della quantità dei capi che componevano il gregge. Altro particolare era il
sistema di chiusura: una sorta di tronchi di lunghezza decrescente verso l’alto
erano tenuti da due tronchi conficcati nel terreno che seguivano la stessa
geometria della sezione del ricovero e ben fissati all’estremità superiore.
L’apertura e la chiusura avvenivano togliendo o
aggiungendo gli appositi legni nella successione appena annotata. La
stessa mandria poteva disporre di vani laterali, nel muro perimetrale,
necessari per appoggiare contenitori o altri oggetti necessari alla miglior
conduzione della vita pastorale.
I capretti, come accennato, non dovevano
da subito seguire le madri al pascolo, poiché si sarebbero esposti a molti
pericoli da parte di predatori, sarebbero subito dimagriti e l’approccio con le
essenze vegetali che sarebbero andati brucando potevano togliere gusto alle
loro carni pregiate; inoltre avrebbero succhiato dalle madri tanto latte che il
pastore non ne avrebbe avuto abbastanza da poterlo trasformare in formaggio,
direttamente o indirettamente, né assumerne lui stesso per il suo necessario
sostento.
Altra caratteristica riscontrabile nella mandra capruna poteva essere la parte
coperta con frasche (lu barraccu) per
dare al gregge e al pastore mero riparo durante la mungitura e, dopo, mentre
consegnava i capretti alle rispettive madri per la poppata serale o del
mattino.
In questi ambienti si esprimeva il
pastore, tra i rigori delle stagioni e gli imprevisti più vari che
potevano riguardare malattie e morienze
di capi o scarsità di pascolo, poca resa di latte, carenza di capretti da
destinare alla vendita e, non ultimo, calo di prezzo del prodotto.
Il
suo vivere poteva essere sano, spensierato e bucolico ma spesso si manifestava in sacrifici e attese mai
compensate. Non sempre il canto che esprimeva dietro il gregge veniva da
soddisfazioni ma bensì dalla necessità
di dare ragione alla su stanchezza e senso alla sua solitudine. Non
nella certezza ma nella speranza i pastori del mondo e di questa contrada hanno
tradotto la vita fino a noi; ora la ricerca sfrenata del più e del meglio ci ha
introdotto in una nuvola ingannevole dalla quale pare trapeli sempre, maggiore arrendevolezza e meno serenità....
Paolo Demuru
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