Idealizzazione di uno spaccato del mulino idraulico costruito dal Cav. Bua sul torrente Lu Riigghjolu alla fine dell'800. |
Questa mattina mi sono
svegliato piuttosto presto, ho guardato l’ora e mi sono permesso di indugiare
ancora un po’ a letto e un sonno leggero mi ha pervaso; quel sonno mattutino
che spesso si carica di riflessioni, di rimembranze, di sogni che appena svegli
si dimenticano. A me il sogno di questa mattina è rimasto impresso e ve lo
voglio brevemente riepilogare. Forse non godrà l’interesse di molti, ma quello
mio personale e quello di un certo ragazzo sicuramente sì: si tratta di un
fanciullo che già è venuto a rendere il mio sonno vagamente impegnato altre
volte, in passato.
Questa mattina mi è dato
di incontrarlo indaffarato presso un minuscolo ruscello che a maggio, in quei
piovosi anni cinquanta ancora scorreva vivace, superando pendii tra rapide,
cascatelle e qualche breve ansa, presso la casa in cui era nato e vi aveva
trascorso appena un paio di lustri. Incontrato, come ho detto, alle prese con
un tronco di canna che aveva spaccato e intendeva usare per prelevare
dell’acqua prima di una cascatella ed incanalarla a modo di acquedotto.
Aveva sistemato le due
canne in posizione di tegola per trasportare l’acqua il più lontano possibile, sì
da farle fare un bel salto, o cascata. Per sostenere l’acquedotto pensile aveva
usato forche di legno conficcate all’estremità inferiore nella terra umida ai
margini del piccolo corso d’acqua. Osservò il liquido scorrere nelle canne che
dopo un certo salto già scavava la sabbia umida fra il crescione e la menta che
vi erano verdi e tenere. Vi pulì accanto un piccolo spiazzo e corse verso casa,
pensando ad una prova, anzi, ad un collaudo vero e proprio. Cercò, frugò in un
nascondiglio segreto a fianco del muro che si trovava all’interno
dell’orticello che fiancheggiava la sua casa e ne trasse un modesto
marchingegno in legno e sughero; collocatolo sotto il braccio destro corse al
ruscello.
Collocò il manufatto a
fianco all’acqua che scendeva trasparente dalla canna che già schizzava sui
cucchiai in legno collocati sulla circonferenza di una ruota in sughero che
subito cominciò ad accennare la sua rotazione che attraverso l’albero doveva
far muovere un semplice ingranaggio atto a trasformare il movimento orizzontale
in verticale.
In cima all’asse verticale
vi era solidale una ruota piena che ruotava a contatto dell’altra inferiore
fissa attraverso la quale passava l’alberino in movimento. Il collaudo che si
aspettava non aveva tradito, si era manifestato secondo le sue attese, almeno
finché il legno ed il sughero non avevano assorbito tanta acqua da rallentarne o impedirne i movimenti.
Mentre il fanciullo si
godeva lo spettacolo, ripagato e soddisfatto, vide in lontananza il
proprietario dell’area che approssimava e sarebbe passato proprio in quel
punto. L’imbarazzo fu tanto, pur sicuro che non l’avrebbe ripreso. Non voleva,
in ogni caso, affrontare il confronto
diretto e si nascose dietro un giovane ilatro, coperto abbondantemente di ‘itialva (clemàtide) che lo rendeva
quasi impenetrabile.
Da quella posizione,
sicuramente non visto, aveva osservato l’uomo, poco più che cinquantenne, avvicinarsi al guado e, sul punto di allungare il passo per saltare il
rigagnolo fermarsi un attimo, osservare il manufatto in movimento con una
smorfia compiaciuta, tra le libellule nere che volavano indifferenti. Quando
l’uomo era ormai scomparso dalla vista il giovinetto tolse le canne, e le
strinse con una mano, prese sottobraccio il prototipo gocciolante e scappò
velocemente verso casa. Era soddisfatto di avere riprodotto in miniatura il
mulino idraulico che per mezzo secolo vi aveva girato a poche centinaia di
metri.
Per me il sogno mattutino,
che per un attimo mi aveva portato in una lontana e nostalgica realtà, svanì
consegnandomi a ben altre premure.
Paolo Demuru
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