Il gatto del Museo |
Qualche settimana fa ero a
Balascia in gradita compagnia di amici, e del Museo all'aperto. Al rientro
pomeridiano, dopo il solito frugale e veloce pranzo, abbiamo avuto la gradita
sorpresa di un ospite garbato e delicato. Garbato per il suo apparire semplice
e fiero, disinvolto e affettuoso, delicato perché il suo passaggio, leggero e
rispettoso, non lascia tracce che in qualche modo possano turbare la quiete e
l’armonia che dovrebbero legare la natura con gli esseri che la popolano.
Si è trattato di un bel
gattone dalla pelliccia lussuosa, pulita e rossiccia, dal passo lento e quasi
cadenzato, dallo sguardo felice. Si è avvicinato a noi, in tutta confidenza e
rispetto, strusciando più volte la sua faccia e il suo corpo ai nostri
pantaloni, per darne, secondo me, assoluta prova. Ci ha accompagnato
devotamente per tutti i nostri spostamenti, anche a lunga distanza, più spesso
seguendoci ma talora precedendoci, dopo le nostre fermate.
Al nostro richiamo,
sempre più insistente, non mancava mai da parte sua un segnale, un cenno, uno
sguardo, di apprezzamento o comunque di interesse da parte sua al nostro
interloquire. Probabilmente era solito recarsi nell’area dell’Oasi in vaghe
escursioni di caccia o solo d’amore, tanto era spensierato e a suo agio ovunque
ci ha seguito. Certo, qualche peccatuccio l’avrà pur commesso, ma sempre per lo
stomaco e non per cattiveria o insano agire. Qualche uccellino lo avrà predato,
abbandonandone le piume dopo il dovuto cerimoniale, e lucertole al sole ne avrà
avvinghiato, liberandosi esse inutilmente della loro coda per distrarlo dal
crudele pasto...
Di tutto questo e per
null’altro reo, se non per la vita e per conservare la specie, per competizione
sacrosanta e naturale e per rispondere fedelmente a leggi severe dove si
distingue e si identifica la vita stessa. Anche l’uomo si è dato leggi severe,
fino ad essere a volte poco chiare e interpretabili; intanto l’abilità umana è
misurata, non con il metro dell’osservanza e del rispetto, bensì, con quello,
fallace per tutti, del disimpegno o della trasgressione.
A questo punto mi giova
sentitamente tornare al mio ospite, distinto nell’atteggiarsi e composto nel
suo fare fino al momento duro del congedo. Quando la nebbia leggera, spinta dal
vento, aveva avvolto noi nell’area della nostra escursione e il felino dalla
pelliccia striata, decidemmo di salutarlo con l’auspicio di incontrarlo ancora.
Ci osservò negli ultimi
preparativi seduto e attento e quando lo riverimmo di sfuggita, prima di
chiudere la portiera della vettura, il suo sguardo si era già fatto serio e
malinconico, un po’ come il nostro, pensando che le sensibilità che vanno
scemando negli uomini possiamo ravvisarle, meno male, ancora nel volto dei
nostri compagni di viaggio qualora per un attimo gli degnassimo di uno sguardo.
Paolo Demuru
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