Il mio ritratto |
Qualche giorno fa Barbara
si è presentata a me con matite e album da disegno:
-Voglio farti un nuovo
ritratto, sei disponibile?-
L’idea non mi è
dispiaciuta e, considerando il fatto che in tal operare è piuttosto svelta, ho
acconsentito volentieri alla fatica di trascorrere il tempo necessario quasi
immobile nella stessa posizione.
Realizzare un ritratto è
una fatica, un esercizio, ma anche un gioco per chi lo esegue, quale che siano
la tecnica e i materiali usati. È quasi sempre una sorpresa invece per il
soggetto rappresentato, quando si alza e si vede impresso su tela, legno o
cartone. Anche la persona più esperta non immagina come sarà vista in quel
particolare momento e, soprattutto, interpretato e realizzato dall’artista.
L’uomo col suo occhio può essere solito
vedersi riflesso nell’acqua, su di uno specchio, su una lastra alquanto
levigata ma non si vedrà mai attraverso l’occhio altrui se non qualora questi,
con ingegno e mezzi, lo traduca in realtà visiva; in un ritratto. Tutto questo
percorso può portare a legittima sorpresa da parte di chi si sottopone al
supplizio dell’immobilità, dell’intorpidimento e non ultimo del sonno, qualora
i tempi si allungassero... Sì, sono rischi che si corrono se l’artista è
sovente colto da ripensamenti, indecisioni o dal tarlo di non soddisfare
alquanto il cliente, o meglio, il paziente che per distrarsi, già si immagina con
doti che non avrà mai avute, benché sperate in quell’occasione rara o forse
unica.
Come affrontare, o meglio,
come potrebbero i due soggetti uscire dal ginepraio in cui si sono cacciati
ambedue, per curiosità e per orgoglio? Forse un protocollo o ricetta vera e
propria non esiste. Se l’artista si pone il problema di rincorrere la
soddisfazione del cliente attraverso miglioramenti fisici rischia che l’opera
perda di freschezza, di semplicità, di originalità ed egli stesso di serietà.
Dall’altro versante, se il cliente avesse simili aspettative immaginerebbe un
ritratto in cui potrebbe apparire simile ma non vero, forzato e pesante, quasi
una controfigura di persona, sì, ma
priva di personalità.
Comunque è bene non
drammatizzare troppo... nel peggiore dei
casi, si spera che sia l’artista a persuadere con buone maniere il suo paziente
che in quel fatidico momento, breve o snervante che fosse, la figura
rappresentata era proprio la sua, benignamente filtrata attraverso i propri
occhi e tradotta sulla tela con le sue mani, in tutta verità e sincerità.
Qualora il paziente si riprendesse in tempi ragionevoli avrebbero entrambi un
certo futuro.
Paolo Demuru
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