I graniti del Museo |
Alcuni giorni or sono ero
a Balascia nell’area del Museo Tematico all’Aperto; era di sabato pomeriggio, ero solo e senza un
lavoro particolare da eseguire. Sono arrivato mentre una nebbia leggera ed
intermittente lambiva le alture e velava i graniti più alti e vistosi. Ho pensato di scalare Lu Monti di Lu Colbu. Avevo solamente
scarpe ed indumenti adatti, la macchina fotografica che solitamente mi
accompagna, mi mancavano un paio di guanti per maggior tenuta, ma mi avventurai
comunque.
Andare ai piedi delle torri granitiche, ben visibili dall’ingresso,
era mia ambizione da tempo; volevo vedere da vicino le condizioni della vecchia mandria e dei lecci cresciuti all’interno e attorno all’antica opera umana.
Raggiunsi facilmente il sito e rimasi subito colpito dalle condizioni del
manufatto, quasi intatto, solo parzialmente avvolto dalla vegetazione di eriche
e, soprattutto, lecci cresciuti abbondanti e rigogliosi, tali da distogliere la
visuale delle cime delle tre torri granitiche che siamo soliti osservare. Mi
resi conto che con un modesto intervento di pulizia e riordino della foresta si
poteva ottenere un risultato capace di un’accoglienza non da trascurare e di
tutto rispetto.
Un lato della mandria
doppia è formato dalla base delle torri granitiche mentre gli altri sono in
muro a secco, in buono stato di conservazione, nonostante la folta presenza di
edera selvatica in alcuni tratti, capace di particolare penetrazione e
dall’azione demolitiva abbastanza energica.
Osservai l’ingresso, solo privo di
cancello, perché digerito dal tempo, ma facilmente ricostruibile. Pensai a
quante capre vi saranno passate in due secoli di uso e di più a quanta fatica
umana per la costruzione e lo sfruttamento, o meglio, l’utilizzo di quest’opera
dell’ingegno e dell’esperienza. Pensavo all’ombra dei lecci, al riparo dai
venti, all’aria filtrata e ossigenata che si poteva respirare, mentre cercavo tra le cime degli
alberi le cime delle torri lambite dalla nebbia e, quando la voglia di scalare
mi rapì, cominciai la semplice arrampicata.
Mentre salivo tutto diveniva più
semplice e più vero. Mi sembrava di leggere una storia plurimillenaria disegnata come un
fumetto, scritto con inchiostro indelebile sulle forme dei graniti, frutto di
inesorabili crolli. Il caldo ed il gelo, i venti e le piogge, i sismi e i
fulmini avevano creato un paesaggio intenso e drammatico; crolli ed erosioni
avevano modellato la roccia ricavando le forme più bizzarre in elementi dalla
stabilità quasi impossibile.
Volevo trattenermi a lungo
a leggere, a scoprire, a farmi sorprendere, ma lo stesso tempo che con la sua
generosità e severità aveva scritto quel libro che mi mostrava aperto, mi
costringeva a sfogliare velocemente tra un colpo di vento e un velo di nebbia
mentre il sole scendeva dietro l’Asinara... ed insisteva gentilmente: "scendi, è
ora..."
Scesi, dunque, con il
rammarico di aver scoperto solo una minima parte di tanta storia, di aver letto
pochissimo di quel bel libro aperto di fronte a me; soddisfatto, alquanto, per
aver scalato Lu Monti Di Lu Colbu
senza guanti, senza funi e chiodi, senza offendere le millenarie opere ma
ottenendo da esse quasi un commiato per averle volute devotamente visitare
nella loro tacita fierezza.
La spelonca del falco è
rimasta da me inviolata come le cime più ardite; per accedervi mi occorrevano
ben altri mezzi e forse un po’ di coraggio in più oltre la volontà avuta e il
senso di riguardo di cui mi ero ben provveduto.
Paolo Demuru
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