Di seguito un articolo scritto dal Prof.
Lorenzo Di Biase, il quale riporta le sue riflessioni sul viaggio che lo portò
a visitare Balascia.
Balascia, chiesa di San Giovanni, foto di Lorenzo Di Biase |
Balascia, campanile della chiesa di San Giovanni. Foto di Lorenzo Di Biase. |
Mi recai a Balascia per effettuare un servizio
fotografico a me necessario in quanto sono l’autore del libro titolato “DON
FRANCESCO MARIA GIUA. L’UNICO PRETE SARDO CONFINATO DAL REGIME FASCISTA”, edito
dall’A.N.P.P.I.A. Sardegna nel 2010.
Il libro racconta le
vicissitudini vissute dal prelato a seguito di una delazione circa un sermone
da lui tenuto durante una messa domenicale nella chiesetta di Balascia, poco
prima dell’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale. Questo
fatto fu portato alla conoscenza dei Reali Carabinieri di Ozieri che istruirono
la pratica, dopo aver raccolto la denunzia di un abitante della piccola
frazione montana. Denuncia che però fu rafforzata dal fatto che alla fine
furono ben quattro abitanti che la firmarono. Alla fine la Commissione Provinciale per l’Ammonizione
ed il Confino di Polizia riunitasi a Sassari, nel Palazzo della Prefettura, in
data 19.06.1940 condannò Don Giua, che continuava a dichiararsi innocente, a
due anni di confino di polizia da scontare in Basilicata nella località di
Pisticci. Don Giua venne accusato di disfattismo e di essere pericoloso in
linea politica. Egli partì dunque per l’esilio anche se in seguito la
Commissione per l’Appello ridusse la condanna ad un solo anno.
Dunque il fascismo
irruppe prepotentemente nel piccolo borgo di Balascia, un luogo montano della
bellissima Gallura composto da un modesto raggruppamento di case e di abitanti
all’epoca tutti dediti alla pastorizia e all’agricoltura. Un luogo isolato in
cui domina la pace con una natura ricca ed affascinante in cui gli alberi e gli
arbusti sardi spadroneggiano indisturbati anche se spesso sono piegati dalla
forza del vento, che riesce persino a modellare i maestosi graniti galluresi.
Vi arrivai una domenica mattina
d’inverno. Una mattina carica d’umidità e di nebbia ma senza pioggia. Il cielo
risultava coperto da uno spesso strato di nubi. Insomma, una tipica giornata
invernale davvero fredda e certamente non invitante per gite fuori porta.
Attraversai il paese di Oschiri senza incontrare né traffico né persone. Qua e
là mi imbattevo in un bar aperto ma non si vedeva nessuno, perché alcuna
persona si avventurava in giro per le strade ed i marciapiedi risultavano
desolatamente vuoti. Inforcai la strada statale per Tempio Pausania e su un
ponte oramai datato attraversai il lago del Coghinas coperto da una fitta
nebbia che pian pianino cercava di salire verso l’alto, verso i monti. In
effetti l’acqua neanche si vedeva e sembrava di galleggiare su un mare di
nebbia. Il silenzio era inquietante. Io continuavo a procedere con un’andatura
lenta per godermi lo spettacolo della natura ma con una certa paura dettata
dall’essere circondato dal nulla. Anche gli
animali erano spariti. Nessuna traccia di mucche né di pecore e neanche
di uccelli. C’era il vuoto! Tutto evidentemente era ancora addormentato. Per
altro io non sapevo di preciso dov’era la strada per Balascia se non un
generico indizio che prima o poi avrei trovato una indicazione. E così fu. Dopo
aver lasciato alla mia sinistra una casa abbandonata e aver effettuato un
imprecisato numero di curve davvero impegnative raggiunsi
il Passo del Limbara e subito dopo svoltai a sinistra alla volta di Balascia. La strada era indicata da un
cartello di colore bianco riportante BALASCIA con una scritta in nero. La percorsi. Era decisamente
stretta ma asfaltata, circondata da maestosi graniti e da una fitta vegetazione
tipicamente sarda, che mi portò ad un agglomerato di case, una ventina ad
occhio e croce, e alla Chiesa di San Giovanni Battista, piccola ma accogliente
e direi decisamente carina. Qui trovai parcheggiate un paio di autovetture.
Tutte le case rigorosamente chiuse, così come anche la chiesetta. La nebbia che
ancora opprimeva il paesaggio. Ma almeno c’era segno di vita. Un paio di cani
abbaiavano in lontananza, sicuramente disturbati dal passaggio della mia
autovettura.
Pensai di
aver fatto un viaggio a vuoto. Sicuramente ero partito molto presto ed arrivai
a Balascia attorno alle nove e un quarto del mattino. Girai a piedi nelle
stradine del borgo per poi convergere sul sagrato della chiesa e lì pensi a Don
Giua. Alla sua omelia domenicale innanzi ad ottanta persone ed alla sua frase
incriminata “l’Italia era alla vigilia della guerra la quale sarebbe stata
guerra di distruzione dell’umanità”. Lui inoltre era solito trattenersi a fine
messa per parlare coi fedeli, per scambiare quattro chiacchiere prima del
pranzo domenicale. E lì parrebbe che egli, quasi proseguendo il suo sermone,
disse che per evitare la guerra “bastava eliminare Hitler e […]”.
Pensai che
queste affermazioni certamente non potevano recar alcun danno al potente regime
fascista. Quale rovina poteva arrecare un umile prelato di campagna al potente
regime fascista? In effetti poi un uomo
di chiesa com’era Don Giua non poteva che sostenere che la guerra portava lutti
e distruzione e dichiararsi a favore della pace. Dubito poi seriamente che la
frase su riportata e pronunciata nel sagrato della chiesa possa essere stata
per davvero detta dal sacerdote. Ma tant’è. Il pugno duro del regime si abbatté
senza nessun tentennamento a Balascia schiacciando sia l’uomo che il prete che
fu sradicato dalle sue abitudini quotidiane per venire prima arrestato e poi
tradotto a Pisticci con i ferri ai polsi, circondato da un nugolo di
Carabinieri e di Camicie nere, come se fosse un delinquente della peggior
specie. Perché per il regime fascista gli oppositori politici erano peggio dei
delinquenti comuni. Venivano considerati degli appestati e come tali isolati.
Balascia è
tutto questo per me. E’ sì un borgo ameno, sperduto nei monti galluresi, ricco
di una splendida natura selvaggia. Ma
per me è anche un luogo carico di storia dove è stata scritta una oscura pagina
a cura dell’imponente macchina repressiva fascista. La delazione. La denuncia.
L’arresto. Il confino. Un curato di campagna contro Mussolini. Allora vinse
Mussolini. Ma Don Giua rientrò dal confino per riprendere il suo incarico di
vice parroco ad Oschiri anche se poi fu trasferito a guidare la parrocchia di
Nughedu San Nicolò sino al suo pensionamento. Ma egli rimase sempre legato ad
Oschiri al punto che nel suo cimitero riposano le sue mortali spoglie.
Lorenzo Di Biase
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