Fra gli alberi più frequenti in quest’area troviamo il
quercus ilex, o quercia. Può raggiungere altezza e mole notevole. Dalla
crescita lenta, longevo e sempreverde, esso è l’albero che esprime maggiore
fierezza, alla pari delle manifestazioni granitiche, che spesso orna e
accompagna traendone riparo dai venti e acqua per le sue radici penetranti.
Il
suo legno duro e pesante è un ottimo combustibile da caminetto e la sua chioma
fresca e rigogliosa ha sempre riparato da intemperie uomini ed
armenti. Produce ghiande, ottimo alimento per suini ed ovini. Dà ottimo
carbone per cui tra l’ottocento e il novecento ne è stata spogliata la
Sardegna.
Presenta contenuti di tannino elevati tanto da reagire col ferro che
le viene a contatto assumendo particolare colorazione.
Per la sua
monumentalità e caratteristica spesso
era punto di riferimento e poteva esprimere un toponimo come la Liccia Tunda (la quercia tonda), la Liccia Manna (la quercia grande). I
notai, nei loro rogiti, spesso l’hanno annotata come punto di riferimento per
il confine di un terreno. I nostri antenati ne utilizzavano il tronco per la
struttura dei carri, pesante ma solida per affrontare le forti sollecitazioni
delle piste pietrose e spesso scoscese.
L’esemplare in immagine (foto del
1986) ha superato di gran lunga secoli
di età; raggiunge una decina di metri d’altezza e copre la pista di fronte. E' cresciuta al fianco di un imponente masso granitico alla pendice nord del
Nuraghe Ruju. I nostri antenati la chiamavano la Liccia di lu Rotu (la
quercia dell’aia) poiché nelle vicinanze vi ammucchiavano i covoni per
essere mondati.
La sua rispettabile longevità è testimone
eloquente di un passato di sacrifici, operoso e creativo nella serenità
drammatica, e avvincente di albe e tramonti, brine e nevicate, colonie di
ciclamini e viole.
Paolo Demuru
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