Tornando indietro nel tempo queste aree della Gallura si presentano con una vegetazione piuttosto bassa rispetto alla pendice est, e soprattutto al versante occidentale, ove ancora mostrano un certo manto. Aree esposte ai venti, poco praticate, se non saltuariamente.
Le prime famiglie si erano stabilite a valle, lungo il corso
del torrente, al riparo dai venti e dal freddo. Ma le vie di comunicazione
restavano piuttosto limitate e percorribili solo da persone, i viottoli (li semiti).
I trasporti avvenivano a dorso di asini o cavalli attraverso mulattiere (li camini). Una svolta, per quanto
attiene alla viabilità e trasporti, si ebbe nel corso dell’ottocento a seguito
del taglio delle foreste e il trasporto del carbone. Ampie vallate coperte da
millenaria vegetazione vennero rase al suolo.
Il legname da abili boscaioli
toscani carbonizzato e trasportato verso i porti d’imbarco. Furono aperte vere
e proprie strade carreggiabili (camini di
carrulu), con muri di sostegno per chilometri e come mezzo di trasporto si
fece, appunto, largo uso del carro trainato da buoi. Tale mezzo, aveva tutte le
caratteristiche per affrontare quelle strade alquanto comode ma a tratti anche
scoscesi.
Il carro a buoi ebbe forte impiego per
ben oltre cento anni. Nella sua struttura in quercia si presentava pesante e
compatto e adatto all’impiego in queste aree. Era trainato da un giogo di buoi
di statura medio piccola, agili e potenti che, abilmente istruiti e ben guidati
davano un servizio economico non di poco conto.
La parte più delicata del carro
erano le ruote (dal diametro di 1 metro) che dovevano essere costruite
(possibilmente in legno d’olivastro) da esperti falegnami e circoscritte da
adeguato cerchio in ferro (largo 5 centimetri e spesso 2).
I buoi dovevano essere sottoposti ad un paziente periodo di addestramento per sopportare il giogo e il fatto di sapersi divedere lo sforzo del traino ed a riconoscere la difficoltà del percorso interpretando l’incitamento dell’uomo, quando necessario.
I buoi dovevano essere sottoposti ad un paziente periodo di addestramento per sopportare il giogo e il fatto di sapersi divedere lo sforzo del traino ed a riconoscere la difficoltà del percorso interpretando l’incitamento dell’uomo, quando necessario.
Il buon rapporto tra l’animale e l’uomo era determinante per la resa del
lavoro, che era raggiunta attraverso il rispetto e la cura soprattutto dell’animale e del mezzo.
La quantità trasportata dipendeva dall’asperità del
terreno. In tratti mediamente pianeggianti
poteva essere trasportato peso un
pari a sette quintali, a un passo medio di 4 o 5 chilometri all’ora. Il
carro era composto dalla struttura o scala dalle pareti amovibili (li ghjacareddhi) che potevano essere
sostituiti da un cassone (la tumbarella) a seconda del materiale da
trasportare.
In caso di forte pendenza veniva azionato il freno che con una
sorta di leva agiva di rallento direttamente sulle ruote. La sua andatura era
lenta e cadenzata dal passo dei buoi; il rumore prodotto quasi musicale spesso
era accompagnato dal canto dell’operatore (lu
carrulanti) che lo seguiva di frequente a piedi dall’alba al tramonto.
Paolo Demuru